S. Teresa de Ahumada (di Gesù), nacque a Gottarrendura presso Avila (Spagna), il 28 marzo 1515 da Alonso Sanchez de Cepeda e Beatriz de Ahumada. Il padre apparteneva al numeroso gruppo di conversos, ossia discendeva da una famiglia di ebrei convertiti, probabilmente per motivi di opportunità al Cristianesimo, originari di Toledo. Appassionata di romanzi di cavalleria e persa in giovane età la mamma, Teresa visse per qualche tempo il clima galante e salottiero del tempo, intrecciando una qualche simpatia con un giovane cugino. Il papà, austero e tradizionale, provvide presto ad interrompere quello che poteva essere un normale e promettente inizio di fidanzamento, inviando la figlia sedicenne in collegio dalle Agostiniane. Qui la ragazza ebbe modo di maturare e si orientò, forse più per poca simpatia verso il matrimonio che subito con una forte e chiara vocazione, verso la vita religiosa. A causa dello scarso entusiasmo del padre per tale scelta, la giovane, ormai ventenne, il 2 novembre 1535, fuggì verso il Carmelo dell’Incarnazione sito nella stessa città, dove aveva una stimata amica, suor Juana Suarez.
TERESA AL CARMELO DELL’INCARNAZIONE
Teresa, già prima dell’ingresso al Carmelo, era stata travagliata da alcune malattie, non diagnosticate al tempo, forse causate da attacchi di brucellosi (malattia endemica all’epoca, presa dal latte e derivati). Ma dopo la sua professione gli attacchi divennero più forti e frequenti, con febbri, svenimenti e malori. Il padre intervenne anche chiedendo l’aiuto di una curatrice empirica che usava delle erbe. Ma la cura determinò ulteriori problemi fino ad una probabile intossicazione seguita da coma. Malgrado tutto, appena Teresa si riprese, volle tornare il monastero, dove visse una lunga convalescenza per circa tre anni e fu arricchita da una guarigione, da lei ritenuta quasi miracolosa, non riuscendo più a camminare, attribuita a S. Giuseppe. Ripresa, però, le fu difficile ritrovare un ritmo giusto di vita e di motivazioni, anche se nel Carmelo di Avila c’erano molte monache la cui vita era seria e talvolta santa, alcune pure sue parenti. Su queste carmelitane, seri studi sono ancora da intraprendere. Oltre 34 condivideranno, più tardi, i suoi progetti e la seguiranno nel nuovo progetto di vita. Da quanto Teresa affermò molti anni dopo, seguì alla guarigione, un lungo periodo, di quasi vent’anni, difficile e oscuro. Teresa da una parte si entusiasmava per le letture, per la decorazione con immagini religiose della sua cella, per le celebrazioni esterne dei santi, in particolare di S. Giuseppe. Ma in parte, seguendo una corrente pur presente nella stessa Comunità, si rassegnava ad una vita mediocre, concedendosi le rare distrazioni possibili ad una monaca in parlatorio, vantaggiose anche per le elemosine che portavano al convento. Per qualche anno lasciò pure la preghiera personale (non quella in coro), poi ripresa, giustificando con la sua cattiva salute l’opportunità di lasciar perdere uno stile di vita più impegnato. Non essendo l’Incarnazione un monastero con clausura stretta, avuti gli opportuni permessi, era possibile uscire per la raccolta delle elemosine, per assistere i genitori in caso di bisogno e passare qualche periodo fuori per motivi di salute o per richieste particolari da parte di personaggi di rilievo. Di questi permessi, Teresa si avvalse più volte, stringendo così buone amicizie e avendo modo di confrontarsi anche con illustri teologi. A suo modo di vedere, nel 1554, ci fu una conversione, una ripresa delle motivazioni originarie, trovando molto aiuto anche nella lettura delle Confessioni di S. Agostino. Dal 1559, diventarono più incisive delle sue esperienze interiori che la motivarono ad una vita diversa, più autentica, più rispondente agli ideali della Regola del Carmelo, fino a che nel 1560, in una serata fra amiche nella sua cella all’Incarnazione, nacque la prima idea della fondazione di una nuova comunità carmelitana.
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